
La Rosa Normanna
-
Il romanzo di Santa Rosalia
a cura di don Alessandro M. Minutella
CAPITOLO I
“Rosalia…Rosalia! Dove sei?...Rosalia! Santo cielo! Chi sa ancora una volta dove dovrò cercarla! Diventa sempre più inquieta…eh, lo dicono i saggi che le fanciulle divenute donne sono indecifrabili”.
Correndo sul suo cavallo, il nobile padre, col viso a metà tra la rabbia e la rassegnazione, si inoltra lungo le vallate di questo lembo di terra, caratterizzato da dolci pendii, ricolmi del profumo delle ginestre e dei pini selvatici…
Intorno a colline piene di verde, dove il tepore del sole primaverile filtra nell’umida terra, lui, il nobile Duca Sinibaldo, sembra un vero erede di quei grandi cavalieri normanni venuti a liberare questa terra di Sicilia dalla presenza musulmana. E deve proprio appartenere a una di queste famiglie normanne perché il suo volto è elegante, i suoi occhi castani riflettono l’altero prestigio dei casati del nord Europa. Fronte spaziosa, lunghi capelli fluenti, tendenti al biondo, altezza sopra la media, Sinibaldo ispira un misto di rispetto e timore.
Lo si vede dal modo in cui lo guardano i due servi che lo accompagnano…tanto più silenziosi quanto più la ricerca si fa difficile.
“Nobile Signore – incalza ora Teodosio, uno dei due, nel tentativo di calmarne l’impeto di rabbia – non datevi troppa pena per vostra figlia…sapete bene che in fondo ella rientra sempre alla medesima ora. Quando il tocco delle campane della rupestre chiesetta di San Girolamo si diffonde per queste vallate, Rosalia è puntualmente in casa…”
“Sì. Sì lo so! Ma io voglio sapere perché vuole allontanarsi così di frequente dal castello…fidarsi nel tempo in cui una figlia avverte i richiami dell’amore è rischioso. Io sono suo padre e decido io per lei. Devo portarla nella grande città di Palermo, al Palazzo Reale…la vogliono conoscere in tanti, la sua bellezza ha conquistato molti cuori. Devo accordarmi presto per darla in sposa a un buon partito…”
La confessione spontanea di Sinibaldo suscita l’amaro scambio di sguardi tra i due servi. L’altro, di nome Gregorio, che sta un po’ più avanti per tenere le briglia del cavallo del Duca, pare conoscere più a fondo come stiano le cose, perché alle parole di Sinibaldo solleva in alto gli occhi come per implorare l’aiuto del cielo, e poi sussurra alcune parole incomprensibili…
La ricerca, mai ansiosa però prolungata di Rosalia, non sortisce effetto alcuno. La fanciulla è introvabile. Sinibaldo scendendo da cavallo si arresta silenzioso dinanzi allo scenario che lo circonda. Col volto crucciato di chi – come padre e come uomo inesperto di spirito – sembra quasi avvertire in animo qualcosa di più grande e misterioso intorno a quella figlia, la primogenita, sempre così strana ai suoi occhi paterni, così diversa dalle altre fanciulle delle coorti normanne. E questa avvertenza lo rende ancor più inquieto…
E’ come se percepisse – ora che un leggero soffio di vento si insinua tra gli alti cespugli – che questa figlia dovrà darle molta sofferenza. Una di quelle avvertenze interiori che accompagnano la vita degli uomini sulla terra, e che fanno talvolta credere che ognuno reciti la parte di un dramma che già un Altro ha scritto…e l’estensione temporale degli eventi, non è che una conferma già nota al cuore che vive dei suoi misteriosi presentimenti, delle sue avvertenze dal sapore soprannaturale.
“Andiamo…” è l’unico perentorio comando del Duca che, rimessosi in sella, fa rientro poco dopo nel suo casato estivo…
CAPITOLO II
“Vi prego, Duchessina, non correte ulteriori rischi” …
“Andiamo, Gregorio, di cosa hai paura? Il mio padre spirituale, Lucio, come faro in mezzo al buio di questo mondo, mi attende per darmi ristoro e luce…”
Rosalia finisce di pronunciare queste parole mentre indossa la cappa bianca; nominando il monaco Lucio, Gregorio si avvede come il viso della sua padrona si illumina.
Rosalia è un’adolescente, alta e slanciata, molto esile ma decisa nei tratti, il suo viso tradisce in modo inequivocabile le origini normanne. Carnagione chiara, viso tondo, fronte larga, lunghi capelli castano chiari, tenuti insieme da una sorta di prezioso fermaglio. La fluente chioma lascia intravedere riflessi di un rosso intenso. Sono soprattutto gli occhi a rendere Rosalia una giovane piena di fascino; di un verde profondo come quello delle valli dove ella vive, con riflessi appena visibili di castano chiaro, che paiono fare un delizioso gioco di armonia cromatica nelle sue candide pupille. Accenna sempre ad un sorriso che la rende padrona degli eventi che vive, quasi come fosse già consapevole del destino che la attende…
“Christus ante omnia, Gregorio mio! Ricordi? E’ quanto ripete continuamente Lucio. Christus ante omnia, prima di ogni cosa…dinanzi a Lui tutto il resto appare nella giusta luce, non aver paura di mio padre, Cristo è il mio scudo”. Gregorio la osserva come cercando di frenare l’impulso a contraddire questa fiducia che, ai suoi occhi, appare così ingenua. E’ sempre rapida nei movimenti Rosalia, sempre; in tutto ciò che fa e pensa, possiede un’agilità fisica, determinata dalla sua giovane età e dall’esiguità del suo fisico, che però esprime per ridondanza l’agilità del suo spirito e la leggerezza interiore del suo cuore, libero dagli appesantimenti del mondo. E poi, ha imparato per forza di cose ad essere così decisa e rapida. Il padre, Sinibaldo, la scorta di continuo, le sta addosso, ormai da un po’ di tempo, col fiato sul collo.
Attraverso il pendio di un’ampia vallata, sul far del mattino, Rosalia, scortata da Gregorio, visivamente arreso di fronte all’audacia della padrona, corre in fretta, i suoi delicati piedi tenuti da eleganti sandali, sembrano planare più che incedere regolarmente. Gregorio conduce i due cavalli, uno dei quali è particolarmente bello; è quello di Rosalia che, però, preferisce spesso camminare a piedi.
Nello spazio di mezz’ora raggiunge in fretta una chiesa che appare tanto più suggestiva perché immersa nell’amenità inalterata delle ampie distese di verde. E’ una costruzione in pietra bianca, con un campanile piuttosto alto, dal quale echeggia il suono dolce e nostalgico delle bronzee campane, il cui tocco cadenzato evoca misteriosi richiami, tanto più intensi perché diffusi in un silenzio profondo.
In questa residenza estiva di Sinibaldo, suo territorio feudale, tutto è così lontano dal fasto della città di Palermo, dalla ricca cornice del Palazzo Reale. Proprio qui, nelle campagne di Bivona, non molto distante da quella valle dello Iato, scenario delle aspre battaglie tra le truppe islamiche e l’esercito normanno proveniente via terra dalla Calabria e via mare da Palermo, la madre di Rosalia, Maria Guiscardi, ama condurre i suoi quattro figli, per trascorrere buona parte dell’anno.
All’ingresso della chiesa, intorno al sagrato, lo spettacolo impietoso di poveri, zoppi, ciechi, viandanti in attesa di un gesto di pietà, tanta gente caduta in disgrazia a seguito della fedeltà al credo cristiano nell’interminabile dominazione musulmana. E loro conoscono Rosalia, la giovane figlia del normanno Sinibaldo, hanno imparato a gustarne la bontà concreta e la tenera compassione. La attendono come se fosse venuta dal cielo, caduta come una stella luminosa nel buio delle loro disgrazie. A un passo da lei, Gregorio assiste commosso a questo frequente miracolo d’amore. Rosalia estrae dal borsetto di cuoio nascosto sotto la cappa parecchie monete, posandole su mani imploranti e, con le monete, regala anche piccoli crocifissi in legno, finemente lavorati. Poi si piega a baciare i più poveri, li abbraccia… li consola, li benedice… sì, traccia proprio un segno di croce sulla fronte dei più di loro.
Un vecchio seduto proprio ai gradini dell’ingresso le dice: “Figliola, il tuo cuore è grande e nobile. Abbiamo bisogno in questa nostra terra di giovani donne coraggiose come te… i Musulmani ci hanno sfiancato e tolto ogni speranza… sono un padre rimasto solo. I miei due figli sono stati uccisi nell’ultima ritirata islamica nella valle dello Iato. Dio ha chiesto molto alla terra di Sicilia, figlia mia, prima che arrivassero i Normanni a liberarci…”
“No buon uomo, non dire così – incalza dolcemente Rosalia – non dire queste parole così amare… l’amarezza è il cancro del cuore, paralizza ogni risorsa dell’anima… i tuoi figli sono in cielo, hanno combattuto per difendere la fede cristiana. La nostra Sicilia ha resistito con coraggio e forza all’Islam – pronuncia queste parole con una fierezza tale da sembrare un paladino normanno rientrato dalla battaglia – ed è ora il tempo di raccogliere spighe ubertose dal terreno irrorato da tanta sofferenza. Palermo risorgerà più bella di prima… la Sicilia rifiorirà…”
Entrando in chiesa, Rosalia indossa il cappuccio con la cappa bianca che risalta ancor di più sulla tunica turchese e oro, e va a sistemarsi su una panca scura, quasi come fosse una consuetudine contratta da tempo. Dal coro dell’abside fa il suo ingresso un corteo solenne di monaci vestiti di un abito scuro, con delle croci di bronzo e oro prezioso al collo e i sandali ai piedi. Sono monaci basiliani. Paiono scomparire nel fumo degli incensi, entrano cantando le lodi a Cristo, in lingua greca; il loro canto, raccolto e un po’ mesto, avvolge di un’atmosfera orante tutta la chiesa dove sono poche persone. Rosalia, inginocchiata, con le mani giunte, sembra in estasi… non come se uscisse fuori dal mondo, ma come se entrasse dentro a un altro mondo, il mondo di Dio. Così immersa in orazione, pare la Vergine Maria al momento dell’annuncio celeste…
I monaci sono numerosi, procedono lentamente e con solenne passo. Pare un esercito venuto dal cielo. I volti segnati anch’essi dalla immane resistenza all’aggressione musulmana. Hanno visto morire alcuni loro confratelli sotto le spade del nemico…
Venuta dalla corte normanna, cresciuta tra gli sfarzi e le ricchezze, educata nei mille piaceri della vita mondana, nascosta e inginocchiata, Rosalia appare a casa sua. Sul suo volto ancora così giovane, traspare pace e letizia… tra gli inni della liturgia, gli incensi e le melodie, le candele e i soavi canti di sapore bizantino, Rosalia è come trasfigurata…
La liturgia, quasi tutta in greco, termina dopo un’ora circa.
Dal coro posto intorno al presbiterio, un monaco di circa cinquant’anni fa cenno col capo a Rosalia di raggiungerlo. È un monaco di media statura, il viso tondo e raffinato, due grandi occhi castani, fronte ampia e capelli rasati, anch’egli – come Rosalia – ha un sorriso sempre stampato sulle labbra, non di maniera, ma sincero e profondo, quasi venisse direttamente dal cuore o dai recessi dell’anima…
Rosalia si alza e lo raggiunge, baciandogli la mano…
CAPITOLO III
CAPITOLO IV
Il salone delle feste del Palazzo Reale è tutto un viavai di nobili e cavalieri, di dame e damigelle, di paggi e di servi, di conti e di duchesse, di baroni e vassalli... un valzer di abiti e di cromature, di vesti e di gioielli, di oro e di stoffe. E' tutto così ben composto, eppure l'aria che si respira è quella delle grandi occasioni. Nei volti della nobiltà normanna, sempre così austera e seriosa, si scorge un timido accenno all'euforia...
E' il gran giorno in cui il Re in persona, figlio di quel grande Ruggero, condottiero e liberatore di Sicilia, presenzierà alla solenne consacrazione della Cappella Reale, i cui lavori di abbellimento si sono protratti a lungo. Per l'occasione, tutta la nobile stirpe normanna, stanziatasi in Sicilia, per prendere il posto dei Saraceni, si è data appuntamento a Palermo.
La povera gente del capoluogo, ormai abituata ai cortei trionfali dei dominatori, non pare interessata a questa ennesima invasione. Alcuni di questi canuti abitanti raccontano ai molti bambini che giocano sui bordi del Cassaro, del corteo musulmano, e ancor prima di quello romano, di quello greco, e di quello fenicio. Palermo: terra di tutti e di nessuno, come rassegnata a lasciarsi dominare dagli invasori, nel bene o nel male! E' come una sorta di antivirus che questa gente, incuriosita eppure disaffezionata, ha dovuto procurare a se stessa per resistere all'incalzarsi dei diversi conquistatori. I palermitani si sono comunque ritrovati, come per i grandi appuntamenti, nella Cattedrale, da poco tempo restituita al culto, dopo la profanazione musulmana. E' da lì che partirà il corteo liturgico in direzione del vicino Palazzo...
Rosalia, elegante come mai, al seguito del padre, avanza nel corteo nobiliare, a lato della madre, Margherita, principessa di Navarra. La madre tradisce una certa preoccupazione, forse perchè ha saputo dal consorte della decisione di annunciare il fidanzamento della figlia con il nobile Baldovino, o più semplicemente lo ha intuito, con quel geniale fiuto di donna, che è spesso fonte di sofferenza.
Si dice in giro, per le voci di quei poveri manovali che si sono succeduti nelle maestranze locali, che questa cappella, posta nei pressi della basilica del Rimedio, voluta dal gran Re Ruggero come voto di gratitudine alla Vergine Maria, per aver liberato le truppe normanne dal terribile morbo, causato da insetti velenosi, è la più bella del Regno normanno. Vi si trovano dei mosaici che, forse per la loro bellezza, hanno fatto credere a un loro potere taumaturgico. Eppure non eguaglia in grandiosità Monreale...
Ruggero II ha voluto essere presente alla cerimonia. Di lui la coorte normanna ha una visione alta, quasi mistica. Alla morte del padre, avvenuta a Mileto nel 1101, la madre era riuscita a governare la Sicilia con l'aiuto di valenti consiglieri, mentre lui ed il fratello erano ancora in tenera età. Nel 1105, morto il fratello maggiore Simone, a soli dieci anni Ruggero II diventava conte di Sicilia. Si era creduto che questo precoce governo fosse il segno della Provvidenza divina.
Ruggero II era venuto ancora piccolo a Palermo; la sua formazione culturale suscitava ammirazione; aveva avuto precettori greci e arabi, e conosceva bene la lingua greca, latina e araba. Divenuto maggiorenne nel 1112, cessando la reggenza della madre Adelaide, era riuscito a dimostrarsi in grado di governare con autorità e saggezza, continuando la linea di espansionismo del padre.
Il vescovo della città, anch'egli di nome Ruggero, e anch'egli normanno, non è un uomo comunicativo, tutt'altro. Schivo e ombroso, rivela i segni del faticoso governo della Legazia apostolica, il privilegio concesso da Roma al re normanno di gestire le proprie provincie anche sul piano ecclesiastico. Questa concessione era stata fin qui cagione di molti contrasti tra il Papa e il re Ruggero I, il quale, per meglio orientare la propria politica autonomistica, si era dato da fare per costruire chiese e monasteri da porre sotto il controllo dei Bizantini. Strane parentele che la storia consegna a questa città: un connubio tra i Normanni e i Bizantini a scapito di Roma per una provincia dove ancora si parla l'arabo tra la gente!
Le autorità politiche hanno convenuto di dar via allo storico corteo, passando attraverso il giardino reale, che conserva ancora tracce della destrezza saracena nella scienza botanica.
Ruggero II, con il pastorale in mano e l'anello al dito, con tutte le insegne proprie del vescovo, in ragione del privilegio concesso dal papa Urbano II al padre, circondato da centinaia di cavalieri, attende all'ingresso del Palazzo, l'arrivo della processione liturgica, capeggiata dal vescovo Ruggero.
Tra le teste che si notano attorno al Re, si intravede ora anche quella del conte Sinibaldo. Gli sta accanto un giovane nobile, alto e slanciato, il cui viso tradisce le origini aristocratiche. E' intorno ai trent'anni di età, anche lui si accoda al corteo regale. Si tratta di Baldovino, il pretendente di Rosalia...
Sinibaldo lo avvicina, con uno scatto abile, al Re...
- Altezza, questi è Baldovino... e io sono il duca Sinibaldo, reggente del possedimento di Bivona.
Il giovane Baldovino si accosta al Re, inchinandosi profondamente.. Ruggero lo osserva, come riconoscendolo dai suoi occhi azzurri. Baldovino rimane ancora lì, in attesa di un cenno...
- Ah sì, sì... ricordo bene il tuo viso, giovane conte. Ho a mente i tuoi scatti agili nelle battute di caccia..
- Altezza - soggiunge Sinibaldo- Altezza, questo nostro giovane ha dato prova di fedeltà estrema verso la vostra augusta persona.
- Sì, me ne ricordo. Quella volta che, tra i boschi di Misilmeri, dopo la cacciata dei Musulmani, un feroce cinghiale aveva cercato di aggredirmi da dietro, mentre stavo riposando... sì, mi ricordo, che tu figlio mio, hai subito provveduto a uccidere la bestia, salvandomi la vita. Quanto tempo fa è accaduto?
- Cinque mesi or sono, Sire!
-Altezza, Baldovino è qui per chiederle un'udienza privata... riguarda mia figlia Rosalia...
- Rosalia? Oh sì! Certo... sul suo conto si dicono molte cose strane... che la sua nascita sia stata preceduta da segni misteriosi, che è una giovane diversa dalle altre, che...
- Altezza- Sinibaldo lo interrompe bruscamente - Altezza, sono storie inventate. Rosalia è in età per sposarsi..
- E Baldovino è il pretendente, vero?
- Secondo la vostra compiacenza...
Sinibaldo ha appena terminato di chinare nuovamente il capo e la processione, accompagnata dal coro dei monaci basiliani, capeggiata dal vescovo Ruggero, giunge all'ingresso del sontuoso palazzo.
Il re va incontro al vescovo, entrambi sono vestiti con le medesime insegne episcopali, ma il Re porta un pastorale più ricco, e in capo, al posto della mitra, tiene una corona tempestata di rubini, così solenne da rendere il biondo Ruggero quasi una divinità...
La liturgia di consacrazione della Cappella Reale ha inizio, con un misto di canti e preghiere, di incensi e di profumi che, confondendosi con l'oro dei mosaici e le cromature dei santi, fa di questo luogo un'anticamera del Paradiso.
-Christus ante omnia, figlia mia, - esordisce con tono paterno e sereno Lucio...
- Ante omnia, padre... sono lieta di poterti incontrare. Ho bisogno del tuo aiuto, Lucio…
- L’abate è preoccupato, Rosalia! Tuo padre è venuto a parlargli della richiesta del giovane Baldovino che ha chiesto la tua mano. Il duca è disposto a concedere ampio risalto alla richiesta, ed ha incontrato l'abate per concordare un probabile ricevimento a Palermo al Palazzo Reale, in presenza del Re. Dovrebbe essere tutto organizzato per la fine di questa estate... quando tuo padre rientrerà a Palermo lasciando la residenza estiva...
- Padre! -Rosalia si inginocchia ai suoi piedi, con uno scatto di filiale devozione...
Un lungo silenzio accompagna l'incrociarsi dello sguardo di entrambi. E' un indugiare carico di significato: come se, dentro al silenzio protratto, i due cuori, le due anime- quella di Lucio e quella di Rosalia- diventassero un unico palpito di amore e di dolore. Il mistero della condivisione, che ha fatto i santi!
Lucio, tenendo le mani della giovane figlia tra le proprie, le alza ora il capo, mentre Rosalia rimane in ginocchio, e riprende a parlare, lentamente:
- Conosci la pietra focaia?
La giovane non risponde, è assorta in orazione, lieta di starsene come protetta sulle ginocchia del santo monaco. Ancora lungo silenzio, poi Lucio prosegue:
- E' una pietra che dicono sia il colore dell'oro, e più viene colpita, più produce scintille. E' come se avesse il fuoco dentro di sé, ma può sprigionarlo solo a forza di duri colpi... più è colpita più dà il fuoco.
Qualche tempo fa, prima di venire in Sicilia, sulle rive di Atene, mi fu mostrata una perla di grande valore, appena estratta dal mollusco. Cos'è mai, Rosalia, un mollusco? Ma da esso nasce la perla, e sai come ciò accade? Dicono che è il fulmine a fecondare la conchiglia e che la perla porta dentro di sè la forza del fulmine. Deve entrare nel buio della conchiglia la scintilla ignea del cielo, e come per incanto, nasce la perla...
- Padre, so già che Dio mi introduce nel suo mistero, io non sono nata per me stessa, non sono come le altre figlie di questa nostra terra. Dio è in me, lo sento presente ad ogni fibra del mio corpo. Se la fecondità della mia esistenza cristiana prevede il fuoco e il fulmine, sono pronta. Voglio servire Dio e non ho altro bisogno che questo... penso spesso, con nostalgia, al Paradiso, mi pare di esser chiamata a grandi cose per Dio. Quando penso alle gesta delle beate Agata e Lucia, il mio cuore si infiamma...
Come posso servirlo Dio, Lucio? Sento dentro una soave voce che mi sussurra: Vieni, sposa di Cristo, per la strada che ti indico. Però io non so quale sia questa via, questo cammino. Avanzo nel buio, rinnovando l'abbandono in Lui. Più Egli è mistero, più io lo amo… se decidessi di recarmi presso l'abbazia delle monache basiliane, sarei costretta a cedere alle pressioni di mio padre. Qualche settimana or sono, attraverso il mio fidato Gregorio, la madre badessa, una santa donna, mi ha fatto pervenire un messaggio: è meglio evitare il tuo ingresso in questo monastero! Ecco, mio padre è il vero ostacolo a tutto! Avevo pensato di farmi pellegrina, sì, pellegrina itinerante, magari verso Roma, o Monte S. Angelo, vorrei giungere fino a Santiago, ai confini del mondo...ma anche in questo modo mio padre riuscirebbe a ostacolarmi. Oh, se Dio mi desse la grazia del martirio! Andrei io incontro ai Saraceni, con la croce in mano, offrendo la mia vita per il Vangelo... ma io sono donna...
Lucio, indugiando sulle ultime parole di Rosalia, tace per qualche istante. Il tocco austero della campana gli ricorda che l'ora canonica di preghiera corale è ormai giunta. Non sa neppure lui come trovare una soluzione a questo dramma; si rende conto che Rosalia vuol essere tutta di Dio con la consacrazione verginale, ma un ingresso in monastero sarebbe inutile, visto che il duca riuscirebbe non solo a tirarla fuori, ma a punirla in modo severo. Lucio vive quel misterioso intreccio tra il disegno di Dio che comunque sempre si realizza, e la fatica di doverlo scorgere nelle trame umane... sa che deve lui indirizzare questa giovane figlia che ha messo la propria esistenza nelle sue mani...e sa anche che l'unica risposta sta nella preghiera.
Deve Rosalia finire i suoi giorni come santa Barbara, prima reclusa dal padre in una torre e poi condotta al martirio? E, del resto, questo martirio per lei, per Rosalia, non sarebbe migliore che quello di ritrovarsi tra le braccia di un uomo, come sposa triste e infelice? Lucio, ora in piedi, non sa neppure come congedarsi da questo solenne momento di dolore reciproco... alza la mano e benedice in greco la devota figliola che, ancora in ginocchio, congiunge le mani... ἐν τό ὁνόματι τοὖ Πατρός…(en tò onòmati toù Patròs...) nel nome del Padre...
- Christus ante omnia...- aggiunge Rosalia...
-Figlia mia, capiremo il disegno del Padre. La scelta comporta la croce, se è Dio a volerlo...coraggio!
- Io mi fido di Dio, padre...
- Sì, ma non c'è solo il cuore, Rosalia, occorre anche il discernimento, la responsabilità...
- Padre...
Uscendo dalla chiesa, ad attenderla è il fedele Gregorio che, seduto su un masso a ridosso della pietraia che circonda la zona adiacente alla chiesa, forse perché è assopito, o perché distratto dalla corsa frenetica di una lepre, non si accorge che Rosalia è già in sella...
- Andiamo, mio fedele Gregorio, torniamo in casa. Mio padre sarà già tornato dalla capitale...-Rosalia si avvicina al suo fidato cavallo...senza esitazione, con quella fierezza che, nonostante tutto, l'origine normanna le ha conservato in cuore... il corsiero sembra riconoscerne la voce...
- Oh, duchessina, ogni volta che uscite dal colloquio con questo benedetto monaco, siete sempre così afflitta! Che si potrà fare?
Rosalia, infatti, non ha in volto quella costante espressione amabile e sorridente che la caratterizza... è visivamente turbata, ma lo sguardo resta limpido.
- Dio provvederà… ora per me è il tempo del deserto, come gli Ebrei, ricordi? La sua mano divina mi sosterrà... e poi i sandali non si consumano nel deserto - un lungo silenzio... Gregorio non proferisce parola, tace immerso nella riflessione delle parole spesso enigmatiche della padrona.
- Che cosa vuol dire questa roba dei sandali che non si consumano?- si domanda inquieto...
Si sente solo il rumore degli zoccoli dei corsieri normanni, la cui eco si fa ancora più intensa, lungo il pendio che dalla rupestre chiesa conduce, attraverso una boscaglia che pare rivestita di ambra, per il riflesso tenue dei raggi di un sole che timidamente si affaccia nel corteo lento e sereno delle nuvole, verso la rocca dove sorge la sontuosa dimora di Sinibaldo.
CAPITOLO V
E' un fresco mattino di maggio. L'aria tutt'intorno è profumata di zagara, il bianco germoglio che, come piccola gemma olezzosa, spande il suo gradevole profumo in tutta la città. I Normanni hanno imparato a gradire i profumi e i colori intensi e profondi dell'isola. Si sono ormai stanziati da tempo nella regione. L'esplosione di luce e di vita che, come una dolce tempesta, travolge l'isola, è un cosa assai cara al re Ruggero e a tutta la corte normanna.
Molti dei soldati sopravvissuti alle sanguinose battaglie con i Saraceni, hanno preso in moglie le figlie di questo generoso e accogliente popolo di Sicilia. Gli idiomi si confondono tra di loro, così come i tratti somatici normanni, in una sorta di prisma umano, si sono mescolati al tratto mediterraneo dei Siciliani. Un connubio della natura, frutto dei disegni misteriosi della Provvidenza che governa e regge la storia dei popoli...
Sinibaldo è visivamente agitato. Margherita, la moglie, tenta di rassicurarlo con lo sguardo:- Rosalia sarà qui, non temere!- sembra dirgli, forse più per rassicurare se stessa. Ma Sinibaldo non riesce a star fermo, ha fatto tanto per ottenere questo incontro, teme il peggio.
Il salone delle udienze reali è sontuoso. C'è un grande ritratto del re Ruggero I, a cavallo, mentre scaccia i Saraceni dall'isola, più in fondo, vicino alla porta della camera del re, si trova un’icona della Odigitria, dono del patriarca di Costantinopoli, come segno di gratitudine per le concessioni elargite ai monaci basiliani, cui il re ha assegnato molte chiese e monasteri in tutta l'isola. Ma ciò che più attira lo sguardo è un gonfalone, una sorta di stendardo, sequestrato dal grande Ruggero ai Saraceni, nella rovinosa fuga dalla valle dello Iato. E' lì come trofeo della superiorità cristiana sulla dominazione araba.
Nel salone Sinibaldo e Baldovino, con Margherita, e i rispettivi seguiti familiari, attendono di incontrare il re, per ottenere il suo beneplacito alle nozze tra il giovane conte e la duchessa Rosalia che, però, non è in sala. Ha chiesto alla madre di potersi allontanare per qualche istante, ma è già passato un buon quarto d'ora e Sinibaldo, nervosamente, osserva l'uscio del re. Teme che Ruggero li faccia entrare, e Rosalia sia ancora fuori. Ad ogni ingresso di uno dei servi del re, il duca ha come un sussulto, subito contenuto per il decoro del luogo.
Rosalia è in un altro luogo, silenzioso e raccolto. E' il vicino santuario di Santa Maria del Rimedio, fatto erigere da Ruggero I a seguito dell'apparizione della Vergine.
La giovane duchessa è in ginocchio nei pressi della icona della θεοτόκος (Theotokos), dove ardono tante candele.
E prega, muovendo leggermente le labbra; è una lunga orazione, un colloquio intenso con la Santa Vergine, uno di quei respiri oranti, che si traducono in uno sfogo appassionato dell'anima: "bisogna lanciarsi, gettarsi nel mistero... io non sono fatta per restare ai bordi, Madre. In me vive lo spirito di Maddalena, voglio amare Cristo in modo audace, espormi per Lui... se una donna è creata per amare, questa è l'unica maniera perchè io mi realizzi. E l'amore è forte come la morte. Mio Dio, è come se l'anima mi uscisse dal cuore, anelando all'unione con Cristo! C'è fuoco in me, Madre, sono una giovane di fuoco, che ne è di quella sete della cerva di cui parla il Salmo? Madre, sono io quella cerva, e cerco non acqua ma fuoco... se l'unione è l'esito dell'amore, che aspetti o Vergine? Conducimi a questa intimità con Dio. Appressami alla sorgente di fuoco, accosta la mia sete, così ancora pura, alla fonte dell'amore..
Che m'importa di gioielli e vesti sontuose, di ipocrite compagnie e false amicizie, è impalcatura pesante. Io voglio Cristo, voglio Dio, desidero consegnare il mio cuore, il mio corpo, la mia intimità di donna a Cristo Signore. E volare, volare come una colomba, come una farfalla luminosa sulle sommità della croce... sì, come la libellula che cerca lo specchio d'acqua, e io invece cerco il raggio di fuoco della croce. Perchè questa luce soave che entra nell'anima, il gemito soprannaturale che anela alla croce, dimmi, o Maria, chi può comprenderlo nel mondo? Forse mio padre, o la mamma, o chi? Forse l'amato padre Lucio, lui sì, che sa leggere il mistero della croce...
Io ti domando, chiamandoti a testimone delle mie nozze con Gesù, di cristificarmi o Maria, lascia che Egli mi prenda in sposa per sempre... perchè l'amore cresce, matura, si fortifica con le prove e si innalza, proprio come la fiamma, verso l'alto. Oh, Vergine tutta santa, ti prego: se l'amore deve consumare l'amata, fa che ciò avvenga ora. Dimmi: cosa devo fare? Mio padre e il corteo di satana sono là, fuori, a poca distanza, ad attendermi. Vogliono consegnarmi ad un uomo, me che sono di Cristo! Il nemico infernale architetta la manovra paterna: vuole strapparmi a Gesù per darmi al mondo.
Sono pronta al martirio, tu Madre hai certamente chiesto e ottenuto di soffrire ciò che soffriva Gesù durante la Passione, giacché non si può resistere alla sofferenza dell'amato. Non si prova gioia quando si soffre per amore? Gesù non era forse contento di morire per salvarci? E questa mia amata terra di Palermo non è ancora fresca del sangue di tanti cristiani che sono morti martiri per resistere all'invasione musulmana? Di loro non si saprà più nulla in terra, perchè questo mio popolo fagocita se stesso nell'oblio, ma essi sono felici in cielo, e sono morti per amore...
Si dice dei cervi che, sovente, la loro agile corsa verso le sorgenti pure di montagna è interrotta dal morso dei serpenti che, attorcigliando la vittima, la azzoppano. Oh, il povero cervo, oh me povera cerva... la mia corsa verso Dio dovrà essere interrotta dal morso del serpente? Il caro padre Lucio mi ha chiamata 'cerva bianca' di Cristo, o anche 'rosa normanna' di Dio. Dice che la cerva bianca è solitaria e pellegrina, che non sta con gli altri cervi che pure abitano già sulle alte montagne, e lei invece se ne sta ancora più in alto. Oh sì, io sarò questa cerva bianca di Cristo, me ne salirò in alto, solitaria...
Rosalia ha appena terminato la sua preghiera. Il suo volto, chinato in basso, lascia scendere verso il pavimento di marmo, lunghe e calde lacrime. Immobile dinanzi alla maestosa icona della Vergine Madre, che pare averla ascoltata, Rosalia attende ora un segno. Sa che Dio non è avaro, sebbene i suoi messaggi siano sempre così delicati e timidi, da dover costringere l'anima ad un'attenta vigilanza. E attende...
Nella splendida basilica mariana, voluta dal re Ruggero I, regna un profondo raccoglimento. Solo poche anime in preghiera... e i monaci basiliani che vanno e vengono dai corridoi laterali, per officiare la liturgia e per accogliere i fedeli.
Dal fondo della chiesa entra Gregorio, il fedele servo della duchessa che, concitato, raggiunge Rosalia e le riferisce dell'ira scomposta del padre che, dovendo saltare il colloquio con re Ruggero, furente, minaccia vendetta contro la figlia ingrata. Gregorio è molto agitato, sconvolto, impaurito, Rosalia rimane calma, serena...
Intanto, dal coro posto a destra dell'abisde, un anziano monaco, cieco, con passo lento ma deciso, avanza in direzione dell'icona della θεοτόκος (Theotokos.). Pare un novello vecchio Simeone, quello del Tempio e della Presentazione del Signore. Col suo lungo abito scuro, terso ma consumato, una folta barba bianca, avanza in modo così solenne, da attirare per un'istante l'attenzione sia di Rosalia che di Gregorio. Ha la mano destra sollevata, come se stesse cercando di captare un messaggio impercettibile, mentre col braccio sinistro si appoggia ad un bel bastone nero. Ancora avanza, fintantoché giunge nei pressi dell'icona. Rosalia si è ritratta in modo riverente, per lasciar passare l'anziano monaco che, invece, come se la vedesse, comincia a dire, dapprima in modo sommesso, poi sempre più forte: "me ne andrò sul colle dell'incenso.. .là ti darò il mio amore... fuggi, simile a gazzella, sui monti dei balsami". Sta citando il Cantico dei Cantici, Rosalia lo sa, però avverte anche un forte brivido interiore, come uno scossone nel cuore… sarà questo il segno?
Il monaco insiste soprattutto sull'ultima parola: "fuggi sui monti...". E anche se cieco pare stia fissando con gli occhi dell'anima la giovane. Rosalia si accosta:
-Ditemi, padre, cosa volete dire? Parlate con me?
Ma l'anziano monaco, quasi come venisse da un altro mondo, non le risponde, continua a ripetere: "fuggi sui monti...".
Rosalia insiste: "vi prego, padre, vi supplico, è questo il segno della Vergine per me?”
Niente da fare, è tutto incluso nella ripetuta espressione "fuggi sui monti..." Solamente, quando Rosalia interiormente comprende che questo è il segno, in modo repentino il monaco si acquieta, e con un sorriso appena accennato, passando, benedice la giovane, aggiungendo solo queste parole: -non voltarti mai indietro...
E' un attimo. Rosalia si alza, trascina per la manica il povero Gregorio e, uscendo dalla basilica, comanda di farsi accompagnare dalle suore basiliane, nel glorioso monastero costruito nei pressi della chiesa fondata per volere del re Ruggero II. Là troverà un posto sicuro, e soprattutto attenderà l'arrivo di Lucio, per comprendere la volontà di Dio, e soprattutto quelle misteriose parole dell'anziano monaco:” fuggi sui monti”.