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19 MARZO 2016

S. GIUSEPPE  E L'EUCARISTIA

 

II rapporto tra san Giuseppe e l'Eucarestia non era nuovo nella teologia giuseppina, de­dotto dall'analoga funzione di nutritori dell'u­manità che ebbero nella storia della salvezza sia l'antico Giuseppe sia il padre putativo di Gesù. Leggiamo in san Bernardo: "Quello con­servò il frumento non per sé, ma per tutto il popolo; questi ricevette dal Cielo il pane vivo per conservarlo sia per sé sia per tutto il mondo". S. Bernardino da Siena riprendeva questa analogia dei due Giuseppe, affermando la superiorità del padre di Gesù, "perché egli non ha solo procurato agli egiziani il pane del­la vita corporale, ma ha procurato con molta sagacia a tutti gli eletti il pane dal cielo, che so­stenta la vita celeste". Infine, il beato Pio IX accolse autorevolmente tale accomodazione biblica nel decreto Quemadmodum Deus (8 dic. 1870), insegnando che san Giuseppe "nu­trì colui che i fedeli dovevano mangiare come Pane della vita eterna". L’assunto del p. Cirino circa il rapporto di san Giuseppe col sacrificio eucaristico trovava un'ulteriore giustificazione nel ruolo avuto dal Santo, durante la vita di Gesù, in occasione della circoncisione e pre­sentazione del Bambino al tempio, riti nei quali san Giuseppe, "benché non fosse sacer­dote, tuttavia ne esercitò in qualche modo gli uffici verso il santissimo corpo del bambino Gesù". Già nel rito della circoncisione, infatti, "il Signore Gesù diede al mondo, per le mani di Giuseppe, le primizie di quel santissimo sangue che doveva effondere in remissione dei peccati, ed egli le offri all'inizio devotissi­mamente a Dio Padre in oblazione pura e ostia gradita". Nel rito della presentazione di Gesù al tempio, tuttavia, la funzione di san Giuseppe appare più esplicitamente. Dopo aver notato che il testo evangelico non intro­duce alcuna differenza tra Maria e Giuseppe (tuierunt...; cum inducerent parentes eius...; be­nedixit eis Simeon), lo stesso consultore sostie­ne che il ruolo più importante fu quello di Giuseppe: "Va da sé che in questo adempi­mento legale la parte più importante sia toc­cata, come padre, a san Giuseppe; e perciò egli stesso con le sue mani, proprio lui, piena­mente consapevole dei misteri, non solo in modo cerimoniale, ma con tutta la forza del­l'animo, presentò il bambino Gesù, vera vitti­ma dell'olocausto, sacrificio salvifico di Giuda e di Gerusalemme, che doveva essere consu­mato sull'altare della croce, proprio Giuseppe lo offrì e consacrò a Dio Padre sull'altare del tempio". Anche il beato Giovanni XXIII tra i pensieri ed elevazioni da lui proposti per la recita del S. Rosario, riferendosi al mistero della presentazione di Gesù al tempio, consi­dera come "presente e presentatore anche lui, Giuseppe, che partecipa del pari ai riti del­le offerte legali che sono di prescrizione".

Esempio e patrono dei sacerdoti - Sulla base di questi argomenti il p. Cirino tro­vava non solo "pio, giusto e consentaneo sanctae Actioni che in essa vi sia la commemo­razione di san Giuseppe", ma anche che san Giuseppe sia proposto come "esempio e spe­ciale patrono dei sacerdoti". Come san Giuseppe "meritò di trattare rispettosamente con le sue mani il bambino Gesù e di portar­lo", così i sacerdoti debbono "servire i sacri altari con purezza di cuore e innocenza di azione e degnamente offrire e ricevere il sa­crosanto Corpo e Sangue di nostro Signore". Non c'è chi non veda quanto sia logico af­fermare che i sentimenti di san Giuseppe nei riguardi di Gesù sono proprio quelli che il sacerdote deve avere nel trattare i santi misteri. L'accostamento fra san Giuseppe e il sacerdote era già stato percepito da tante generazioni di sacerdoti nella preghiera, ri­petutamente indulgenziata, destinata alla preparazione della S. Messa e come tale ri­portata nei Messalini anteriori all'ultima riforma. In tale preghiera precede anzitutto l'affermazione della situazione privilegiata di san Giuseppe riguardo a Gesù: "O uomo fortunato, beato Giuseppe, cui fu concesso non solo di vedere e udire, ma di portare, baciare, vestire e custodire Dio, che molti re vollero vedere e non videro, ascoltare e non udirono!". Segue, quindi, l'invocazione: "O Dio, che ci hai dato il sacerdozio regale, concedi, te ne preghiamo, che, come il beato Giuseppe meritò di trattare riverentemente con le sue mani e di portare il tuo Figlio unigenito, nato da Maria Vergine, tu ci faccia servire ai tuoi santi altari con purezza di cuore e innocenza di azione, così da riceve­re degnamente il sacrosanto Corpo e Sangue di tuo Figlio e di meritare di ottene­re nel secolo futuro il premio eterno".                                                                             

                                                                                                                                  P. Tarciso Stramare

 

20 MARZO 2016

 

 

Ricordiamo le parole di Gesù: << Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me, vivrà per me>>. E’ Gesù stesso a rassicurarci che una tale unione, da Lui asserita in analogia a quella della  vita trinitaria, si realizza veramente.

 

L’Eucaristia appare dunque come culmine di tutti i sacramenti nel portare a perfezione la comunione con Dio Padre mediante l’identificazione col Figlio Unigenito per opera dello Spirito Santo. Con accuratezza di fede esprimeva questa verità un insigne scrittore della tradizione bizantina: nell’Eucaristia,  << a preferenza di ogni altro sacramento, il mistero è così perfetto da condurre all’apice tutti i beni: qui è l’ultimo termine di ogni umano desiderio, perché qui conseguiamo Dio e Dio si congiunge a noi con l’unione più perfetta>>.

 

Proprio per questo è opportuno coltivare nell’animo il costante desiderio del Sacramento eucaristico. E’ nata da qui la pratica della <<comunione spirituale>>, felicemente invalsa da secoli nella Chiesa e raccomandata da Santi maestri di vita spirituale. Santa Teresa di Gesù scriveva: << Quando non vi comunicate e non partecipate alla messa, potete comunicarvi spiritualmente, la qual cosa è assai vantaggiosa…>> Così in voi si imprime molto dell’amore di nostro Signore>>.

 

Nell’eucaristia abbiamo Gesù, abbiamo il suo sacrificio redentore, abbiamo la sua resurrezione, abbiamo il dono dello Spirito Santo, abbiamo l’adorazione, l’obbedienza e l’amore del Padre.

 

 

                                   Dall’Enciclica Ecclesia de Eucharistia ( s. Giovanni Paolo II)

 

21 marzo 2016

S.CURATO D'ARS

 

All’indomani del suo arrivo ad Ars il 9 Febbraio 1818 salendo l’altare per la Messa, era pressochè  solo. La sua gente aveva ben altro da pensare che a Dio e al prete. C’era il deserto attorno a lui, ma qualche giorno dopo, qualcuno venne a vedere che cosa era venuto a fare ancora un prete ad Ars e come viveva. Lo trovarono in ginocchio davanti al tabernacolo, in preghiera, come se davvero vedesse Qualcuno. Lo trovarono così, al mattino, al pomeriggio, alla sera e persino di notte. “Quello in Gesù Cristo ci crede davvero”, corse la voce.

 

Parlava di Dio che premia i buoni con il Paradiso e castiga i cattivi con l’Inferno, del Figlio suo Gesù Cristo venuto a morire sulla croce per espiare il peccato del mondo, del suo amore infinito, della sua misericordia, del suo perdono per chi si converte, della gioia che viene solo da lui… Erano parole semplici, parole di fuoco, indimenticabili, che facevano breccia nelle loro anime. Vennero altri a sentirlo.

 

Nel 1827, dunque, meno di dieci anni dal suo arrivo, in occasione del giubileo concesso dal Papa Leone XIII, in un trasporto di gioia gridò: “ Fratelli miei, Ars non è più Ars”. Quali mezzi aveva usato, quali analisi, e quali piani pastorali aveva organizzato? Nessuno. Solo il suo sacerdozio vissuto al culmine dell’essere “un altro Cristo”. Nessuno ha espresso meglio di lui quanto è terribile essere prete, avere il diritto di assolvere e di far discendere Dio stesso in un’ostia: “Com’è spaventoso essere prete”, ripeteva spesso e il suo volto si riempiva di lacrime. “Com’è da compiangere un prete quando celebra la Messa come un fatto ordinario. Com’è sventurato un prete senza interiorità”.

 

Già la messa la celebrava il mattino presto e tutti vedevano che stava compiendo il Sacrificio del Figlio di Dio sulla croce. Chiunque giungesse dal Curato ne ripartiva rifatto nuovo. Tutti, come il contadino di Macon cui era stato chiesto: “Ma chi hai visto ad Ars?”, potevano rispondere: “Ho visto Dio in un uomo”. Avrebbe potuto ricevere i più grandi onori e ricchezze, tale era la sua fama, eppure fino all’ultimo rimase là al suo posto: sacerdote appassionato, innamorato folle di Gesù Ostia e della Madonna, all’altare e in confessionale, a condurre le anime a Dio. Per questo, solo per questo, si era fatto prete..

 22 MARZO 2016

 

…Cercami nei Miei Tabernacoli, così Mi consolerai molto; ma cercami (anche) dentro di te, nel Tabernacolo della tua anima che lo ho preparato per Mia abitazione. Là Mi troverai… lo desidero ansiosamente che tu impari le Mie lezioni, ed io ho molto da insegnarti, e tu hai molto da imparare affinché molti vengano ad imparare da te le stesse lezioni, calcando le stesse orme per seguire gli stessi cammini». (Lp.40)

 

 «Io voglio molte anime eucaristiche: io voglio anime, molte anime che stiano attorno ai Tabernacoli, che volino a Me come le rondinelle a stormo volano verso i loro nidi. (S p. 143, 48)

 

 Che mi chiedano tutto ciò che vorranno davanti a Me, nella Santissima Eucaristia: è da là che viene il rimedio per tutti i mali. Che mi invochino per gli infelici peccatori, che si abbandonano alle passioni, e non si ricordano che hanno un’ anima da salvare e un’eternità li aspetta tra breve». (L p. 84)

 

«O sposa cara, Io sono qui nel Tabernacolo del tuo cuore… Tu sei il Tabernacolo ove abito giorno e notte senza assentarmi. Tu sei l’ostia che con Me si immola, tu sei l’ostia con la quale le anime comunicano con me.  Tu vivi con Me nell’Eucaristia, vivi la Mia Vita. In questa immolazione continua, in questa unione indissolubile, in questa vita tanto mistica e Divina, le anime Mi ricevono attraverso te».

 

 «Vuoi consolarmi? Vuoi consolare il Santificatore della tua anima? Sai chi è? È il tuo Gesù! Va’ ai Tabernacoli! Va’ a praticare opere di Misericordia. Va’ a consolare i tristi. lo sono tanto triste! Sono tanto offeso! Va’ al tuo compito: soffrire, amare, riparare». (L p. 48)

                               

 

                                                                     (Parole di Gesù alla beata Alexandrina da Costa)

23 MARZO 2016

IL MIRACOLO EUCARISTICO DI AMSTERDAM

 

Il miracolo eucaristico di Amsterdam avvenne il 15 marzo 1345, precedendo quindi di 600 anni la prima apparizione della Signora di tutti i Popoli.

In una casa della via Kalver giaceva un moribondo. Egli ricevette l’estrema unzione ma ebbe difficoltà ad inghiottire l’ostia e più tardi fu preso da vomito. La domestica che lo assisteva raccolse tutto ciò che egli aveva rimesso e lo gettò nel fuoco del camino. Il giorno dopo, allorché riaccese il fuoco, vide l’ostia intatta librarsi sopra le fiamme. Allora l’avvolse in un panno e la depose in una madia. Avvertì quindi un sacerdote che in segreto trasportò la Santa Forma nella chiesa di San Nicola, l’attuale Chiesa Vecchia.

Il giorno seguente, però, a generale sorpresa, l’ostia giaceva di nuovo nella madia. Il sacerdote, richiamato, la riportò in chiesa. Allorché il giorno dopo, per la terza volta, l’ostia fu ritrovata nella madia, si capì che era volontà divina di rendere pubblico il miracolo. L’ostia fu di nuovo portata nella chiesa di San Nicola, questa volta però in solenne processione.

 

L’anno dopo, concluse le dovute indagini, il Vescovo di Utrecht confermò la soprannaturalità dell’accaduto. La solennità del SS. Sacramento divenne una festa religiosa e civile per la città e ogni anno fu ripetuta la solenne processione eucaristica. La casa nella quale avvenne il miracolo fu trasformata in cappella.

Tra i numerosi pellegrini che nel corso dei secoli si recarono ad Amsterdam, ci fu anche l’Imperatore Massimiliano d’Austria. Egli vi si recò per chiedere la grazia della sua guarigione. Fu esaudito e in segno di riconoscenza inserì lo stemma della città di Amsterdam nella corona imperiale.

Nel 1578, l'autorità civile di Amsterdam, composta da membri riformati, proibì l'annuale processione del miracolo eucaristico e la cappella cadde in disuso. Malgrado il rigoroso divieto, i Cattolici mantennero la consuetudine alla quale erano affezionati, riunendosi per percorrere l'itinerario originale in devoto raccoglimento. Ne risultò la cosiddetta "Processione silenziosa", ravvivata nel 1881, alla quale ogni anno, nella notte precedente la domenica che segue il 15 marzo, partecipano in silenzio e preghiera fino a 10'000 persone provenienti da ogni regione dei Paesi Bassi.

Nel 1908 la cappella, ancora in stato di abbandono, fu abbattuta malgrado le proteste di molti cittadini. Attualmente, per la commemorazione del miracolo, si fa capo alla  cappella del beghinaggio. Anche nella chiesa di San Nicola, in prossimità della stazione centrale, vi sono molti dipinti che ricordano il miracolo. 



Già nel secondo messaggio, la Madonna mostra alla veggente una processione che passa in lontananza: “È la processione del miracolo di Amsterdam”. (21.04.1945). 
Con ciò non va intesa la "Processione silenziosa", bensì la processione nella quale viene portato il Santissimo. La Madonna ha quindi scelto volutamente una "Città Eucaristica" per rivolgersi a tutti i popoli. 


Nota: 13 giugno 2004, festa del Corpus Domini, per la prima volta dal 1578, una processione eucaristica si svolse in pieno giorno per le strade di Amsterdam. Il divieto era stato tolto alcuni anni prima.  

 

 24 MARZO 2016

 E’ giunta l’ “ora” di Gesù. Ora del suo trapasso da questo mondo al Padre. Inizia il Triduo Sacro. Il mistero pasquale, come ogni anno si riveste del suo aspetto liturgico cominciando da questa Messa che, unica durante l’anno, porta il nome di “Cena Domini”. Dopo aver amato i suoi figli che erano nel mondo, “li amò sino alla fine” (Gv 13,1).

 

L’Ultima Cena è appunto testimonianza di quell’amore con cui Cristo, Agnello di Dio, ci ha  amato sino alla fine. Che cosa significa : “Li amò sino alla fine?”. Significa: fino al compimento che doveva avverarsi nella giornata del Venerdì santo. In tale giorno si doveva manifestare quanto Dio ha amato il mondo, e come, in quell’amore, sia giunto al limite estremo della donazione, al punto cioè di “dare il suo Figlio unigenito” (Gv 6,16).

 

L’amore del Padre si è rilevato nella donazione del Figlio. Nella donazione mediante la morte. Il Giovedì Santo, il giorno dell’Ultima Cena è in un certo senso il prologo di quella donazione: è l’ultima preparazione. E’, in un certo modo, quel che in questo giorno si compiva già oltre questa donazione. Proprio nel Giovedì Santo, durante l’Ultima Cena, si manifesta cosa vuol dire: “ Amò sino alla fine.”

 

 Sino alla fine significa al di là dell’ultimo respiro. Al di là della morte. Tale è appunto il significato dell’Eucaristia. La morte non è la sua fine, ma il suo inizio. L’Eucaristia è frutto di questa morte. La ricorda costantemente. La rinnova di continuo. La significa sempre. La proclama.

 

Amare “sino alla fine” significa, dunque, per Cristo, amare mediante la morte e oltre la barriera della morte: Amare sino agli estremi dell’Eucaristia. Prima ancora di dare se stesso sulla croce, come” Agnello che toglie i peccati del mondo”, ha distribuito se stesso come cibo e bevanda: pane  e vino, affinchè “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Così egli” amò sino alla fine”.

 

 

                                                                                                    Dal Magistero di san Giovanni Paolo II

Piccola Nazareth 

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