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19 NOVEMBRE 2015

MARANA-THA: VIENI SIGNORE GESU'

20 NOVEMBRE 2015

TEMPO SACRO DELLA   PRESENZA DI GESU' RISORTO

 

 

 

 

Rinnoviamo la Cena nel Signore <<in attesa che egli ritorni>>: è un’attitudine di vigilanza, di gioiosa aspettativa, di <<pregustamento>> delle realtà celesti, di intima comunione con l’assemblea del cielo, raccolta intorno al trono dell’Agnello.

La tensione dell’attesa era vivissima nella prima generazione cristiana. Si può forse dire che costituisce la componente maggiore della sua attitudine spirituale. Il clima religioso ne è fortemente marcato.

 

L’antichissima e misteriosa formula <<Marana-tha>> è a giudizio degli studiosi più recenti, la testimonianza e l’espressione più caratteristica di questo clima, tutto orientato verso l’altro versante del tempo. Esso fa la sua comparsa nell’epilogo della prima lettera ai Corinzi(1 Cor 16,22) e chiude la sezione eucaristica della Didachè (X, 26).

 

E’ ormai accertato, dopo tante discussioni, che la sua esatta traduzione è:<<Signore, vieni!>>. Il termine <<Marana>> richiama ad un tempo l’opera redentrice di Cristo, e il suo ritorno glorioso. L’Eucaristia viene a collocarsi su quella linea continua che va dal mistero pasquale di Cristo alla parusia, prolungando la prima e anticipando la seconda. Da questo duplice riferimento la celebrazione trae la pienezza delle sue dimensioni.

 

                        Mariano Magrassi in Vivere l’Eucaristia, La Scala 1981, p. 101

 

 

"Ella mi farebbe somma grazia e favore, se volesse indicarmi ove stia registrata la proibizione della comunione frequente".

 

                                                                                     s. G.B. Cottolengo

 

Il periodo di tempo che va dall’annunciazione dell’Angelo  a Maria fino all’ascensione in cielo, Dio visse in Gesù su questa terra a Nazareth in Palestina.

 

Il Figlio di Dio si è fatto uomo, carne della nostra carne, nato da una donna, Maria. Dio si fece realmente uomo in quell’anno sotto l’impero di Augusto e, circa trent’anni dopo, morì crocifisso sotto Ponzio Pilato, procuratore romano a Gerusalemme. Fu allora,<< in quel tempo>>, che Dio visse veramente sulla terra e compì il proprio destino;<<in quel tempo>>e in nessun altro tempo, né prima né dopo. Duemila anni fa Dio visse realmente sulla terra, fece visita alla terra e vi abitò trentatrè anni di tempo circa. Morì crocifisso e tre giorni dopo risorse, poi risalì al Padre e là siede e vive. Così Dio si fa presente nella Messa.

 

Dio in virtù del potere conferito al sacerdote entra nella comunità dei cristiani in preghiera in corpo, anima e divinità. Quando il sacerdote pronuncia le parole sul vino e sul pane, Gesù Risorto entra nella comunità cristiana ed è realmente presente tra i fedeli fino alla comunione consumata.

 

E’ un tempo nettamente definito con un inizio e una fine. E’ un breve lasso di tempo in cui avviene << il passaggio del Signore>> in senso proprio, sacramentalmente.

La consapevolezza di questa presenza reale di Dio nel nostro tempo, nella nostra Messa, tra noi, del suo inizio, del suo arrivo e della sua fine (entrando in noi nella comunione) fa parte della corretta celebrazione della santa Eucaristia voluta da Gesù.

 

E’ un <<Tempo breve>>, ma colmo di <<Eternità>>.

Dio si fa presente in mezzo a noi con il suo Corpo, il suo Sangue e la sua Anima e si fa mangiare per donarci la Via Eterna di Dio.

 

                                                                                            Romano Guardini

21 NOVEMBRE 2015

EUCARISTIA, SACRAMENTO <<ULTIMO>>

 

L’Eucaristia è veramente il sacramento ultimo dell’iniziazione cristiana, quello che porta veramente il cristiano alla sua perfezione. E qual è la perfezione cristiana? E’ l’unione nuziale, perché nell’unione nuziale quello che è del Cristo è mio. E’ quello che dice la <<preghiera dell’anima innamorata>> di s. Giovanni della Croce: <<Miei soni i cieli e mia è la terra, miei sono gli uomini, i giusti sono miei e miei i peccatori. Gli Angeli sono miei e la Madre di Dio, tutte le cose sono mie. Lo stesso Dio è mio e per me, poiché Cristo è mio e tutto per me>>.

 

L’unione nuziale implica veramente la vita del Cielo, vissuta nella fede- intendiamoci bene-, ma vivere nella fede non vuol dire vivere una vita meno reale. Vuol dire che noi abbiamo occhi cisposi e non ci vediamo troppo chiaramente, come accade la mattina quando ci si alza. Poi lavandoci ci si vede un po’meglio. Così è il nostro vivere nella fede: non è che cambi il cielo se ora ci si vede meglio. Sono io che cambio, non la realtà.

 

Ed è per questo che vivendo l’Eucaristia, già si fa presente per noi la realtà incommutabile di Dio, anche se non abbiamo un’esperienza diretta, piena di questo miracolo d’amore nel quale Dio ci fa entrare, che Dio ci comunica. E’ evidente che è così. La nostra patria è l’immensità divina, il nostro tempo la sua eternità in Cristo Signore.

 

                                                                 Divo Barsotti in Spiritualità carmelitana e sacramenti,

                                                                                                                         Città Nuova 1984, pp. 117-118

 

 

 

 

 

"Nelle nostre Comunioni, noi dobbiamo domandare la guarigione del vizio al quale ci sentiamo più inclinati".

 

                                                                                                                    s. Filippo Neri

 22 NOVEMBRE 2015

 

 

Un santo missionario, in una lettera dalla Nuova Guinea, racconta questo fatto.

<<Attraversavo un fiume in piena. Una violenta ondata mi rovesciò la canoa. Tentai più volte invano di raggiungerla e di salvarmi, ma le onde mi travolsero. Ormai tutto per me era finito: mi raccomandai a Dio.

 

Ma dalla sponda mi aveva visto un ragazzo patuano di 14 anni. Si gettò coraggiosamente nell’acqua, con sforzi immani riuscì a salvarmi e a trascinarmi sulla sponda.

 

Dopo aver riprese le forze con il suo aiuto, gli chiesi: “ Giovanni, ma non avevi paura di morire con me o di essere divorato dai coccodrilli?”.

 

Mi rispose candidamente: “ Si padre, avevo tanta paura, anzi credevo proprio di non farcela; ma era mio dovere di cristiano salvarti e perciò non ho esitato. Ho ricevuto questa mattina dalle tue mani la comunione. Se fossi morto, saremmo andati in Paradiso insieme!”.

 

Il Signore ama e protegge chi dona con cuore deciso.

 

<<Per Cristo>>, per il suo sacrificio,

 

 perché ha versato il suo sangue per me,

 

ha aperto, con il dono della sua vita,

 

la strada per dare il vero onore a Dio.

 

                                                                                   P. Andrea Gasparino

                   

 

23 NOVEMBRE 2015

PERCEPIRE LA PRESENZA VIVA DEL RISORTO ATTRAVERSO I SEGNI (1)

24 NOVEMBRE 2015

PERCEPIRE LA PRESENZA VIVA DEL RISORTO ATTRAVERSO I SEGNI(2)

 

Il Canone romano aggiunge al racconto evangelico della Cena, che si situa nel cuore dell’Eucaristia e la riassume, due aggettivi meravigliosi, nati senza dubbio dalla contemplazione: <<Prese il pane nelle sue mani sante e venerabili>>. Sono aggettivi che possono nascere solo nella preghiera.    Quindi sono, si, le mie mani sacerdotali che spezzano il pane; ma in senso assai più reale sono le mani <<sante e venerabili>>   del Cristo che lo spezzano. Ogni Eucaristia rende presente quella sua Cena, ed ha Lui come attore e protagonista. Noi siamo solo degli umili strumenti.

 

   Finalmente Cristo è presente nell’assemblea, perché << dove sono due o tre radunati nel mio nome, Io sono in mezzo a loro >>. Si rivela qui un ulteriore carattere di questa presenza: quello ecclesiale. A livello di segno questo lo esprime la dimensione comunitaria di ogni sacramento. La Chiesa è il << Christus praesens>> attraverso il tempo. E’ in essa che si incontra il Risorto, e massimamente in quei grandi <<gesti ecclesiali>> che sono i sacramenti.

 

   Questo non elimina quanto affermato sopra, perché i sacramenti sono azioni personali del Risorto incarnati in una azione ecclesiale. Qui si capisce fino a che punto la Chiesa è il << Corpo di Cristo>> cioè il corpo personale del Risorto.

 

   La nostra esperienza del Cristo presente deve passare attraverso questo complesso di segni convergenti. Allora è possibile percepire nella fede una Presenza viva che è realissima, che è una Persona, Qualcuno che parla, che agisce, che riempie la sua Chiesa. Una presenza così viva che Ambrogio diceva: <<E’ come se percepissi il suo respiro>>.

 

 

 

                                                  Mariano Magrassi in Afferrati da Cristo, la Scala  1978, pp. 252-253

 

Bisogna essere capaci di percepire una presenza: la presenza viva del Risorto, che riempie la celebrazione liturgica, proprio come in certi mosaici delle antiche basiliche romane il Pantocràtor, la grande figura del Cristo Signore, riempie tutta l’abside delle basiliche, mentre gli uomini ai suoi piedi si fanno piccoli, microscopici. Perché è Lui che deve dominare, come in un primo piano cinematografico.

 

Nella celebrazione eucaristica, la presenza di Cristo è significata e realizzata attraverso un complesso di segni che sono complementari, e che vanno tutti utilizzati per fare l’esperienza di quella Presenza, e realizzare un vero incontro con un Cristo vivo. C’è anzitutto il segno del pane e del vino che diventano il Suo corpo e il Suo sangue. Il carattere sostanziale e permanente di questa presenza nei segni sacramentali, ci dice che essa è realissima, che non è dipendente soltanto dalla nostra fede, ma è oggettiva: è reale.

 

C’è poi la presenza nella persona di chi presiede, il quale, secondo un’espressione stupenda e mai tramontata di s. Tommaso,<< agit  in persona Christi>>, cioè, in termini semplici, la sua umile persona in quel momento diventa un segno efficace di una presenza…

 

C’è poi la presenza nella Parola, perché <<è  Lui che parla quando nella Chiesa si leggono le Scritture>>(SC7). Dunque la presenza del Signore nelle azioni sacramentali non è muta, ma parlante. Questo spiega la presenza, in ogni sacramento, della lettura biblica.

 

                       Mariano Magrassi in Afferrati da Cristo, La Scala 1978,pp.251-252

 

 

         “Il tabernacolo ci garantisce che Gesù <<ha piantato la sua tenda>> in mezzo a noi.

                                                                                                 b. Teresa di Calcutta

Piccola Nazareth 

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