

25 GENNAIO 2016
L'EUCARISTIA E' IL SACRAMENTO DEL SACRIFICIO DI CRISTO
Nei suoi gesti – il pane spezzato dato da mangiare, il calice offerto da bere – Gesù riassume il significato di tutta la sua vita e morte. Con le parole rivolte ai discepoli, Gesù manifesta loro questo significato e li invita a diventarne coscientemente partecipi.
Parole e gesti di Gesù nell’ultima cena sono insieme una spiegazione – l’interpretazione del senso della sua morte, come atto supremo della sua vita – e un dono. Un dono che consentirà ai cristiani di tutte le generazioni di partecipare personalmente, in tutti i luoghi e i tempi in cui si diffonderà la fede, all’unico sacrificio di Cristo. Un dono che permetterà a tutte le generazioni di credenti di vivere come una realtà attuale, perennemente presente, il dono di sé che Cristo ha compiuto per noi, una volta per sempre, sulla croce.
<<Fate questo in memoria di me>>: una parola che agli orecchi degli apostoli (e degli Ebrei in genere) aveva un suono molto più realistico e più concreto di quanto possa apparire a noi. Non si tratta soltanto di <<ricordarci>> di Gesù Cristo, di pensare a lui che è vissuto e morto venti secoli fa. Si tratta piuttosto di compiere un rito – la cena del Signore, l’Eucaristia – che diventa per noi <<il memoriale della nostra redenzione>> (Preghiera eucaristica II),<<il memoriale della nostra redenzione>> (Preghiera eucaristica IV), cioè un gesto attraverso il quale la nostra vita presente viene raggiunta e coinvolta direttamente nel fatto compiuto una volta per sempre della morte e risurrezione di Gesù.
Domenico Mosso in Il sacrificio gradito a Dio, Elledici 1981, pp. 37-39
“ Il buon nutrimento lo ricevono dalla comunione quotidiana.”
s. G.B. Cottolengo

26 GENNAIO 2016
GESU' CI E' CONTEMPORANEO
Il Gesù che ci è contemporaneo è Gesù- Eucaristia. Nell’ Eucaristia c’è tutta l’adorazione di Dio e tutta la salvezza del mondo, con un’immediata aderenza a ciascun uomo del nostro tempo, perché essa è Gesù paziente, passione, olocausto.
Ma c’è un altro aspetto di Gesù- Eucaristia che deve portarci a una commozione adorante: egli nutre della sua carne immolata. L’Agnello dell’olocausto si fa mangiare per essere in noi nutrimento della nostra oblazione.
Nutriti di sacrificio, diventiamo noi stessi partecipi dell’olocausto. Attraverso la mensa del Corpo e del Sangue del Signore diventiamo davvero la pienezza del suo olocausto.
Quello che Gesù è venuto a fare - assumere l’umanità perché ogni uomo trovasse in lui la stessa trasfigurazione e la stessa vita eterna - lo realizza adesso. Tutto ciò che ha fatto per essere il nostro salvatore, adesso, in una contemporaneità cronologica, lo compie attraverso il sacramento eucaristico, nell’immediatezza dell’incontro con ciascuno di noi. Entra nella nostra vita mediante il segno della più inesprimibile comunione, perché niente è più assimilante e comunicante del cibarsi.
Dobbiamo sottolineare ancora che tutto ciò avviene nel segno dell’olocausto. C’è una pazienza del segno in Gesù- Eucaristia, in questo Gesù che è nelle mani dell’uomo in una maniera tremenda; che obbedisce alla parola dell’uomo in modo misterioso; che si lascia da lui spezzare, distribuire, divorare; che si lascia prendere, trasportare. Tutto ciò per essere con noi, per rimanere con noi. Quello che riguarda la comunione di Cristo con noi non è mai un passato da parte sua: è un presente o un futuro glorioso.
Anastasio Ballestrero in per te io vivo, Carmelo s. Giuseppe, pp. 145-147

27 GENNAIO 2016
SULL'ALTARE DELLA TERRA, SIGNORE, TI OFFRIRO' LA FATICA DEL LAVORO
Poiché una volta ancora, o Signore, io non ho né pane, né vino, né altare, mi leverò al di sopra dei simboli e ti offrirò, sull’altare della Terra intera, il lavoro e la fatica del Mondo.
Porrò sulla mia patena, o Signore, la messe attesa da questa nuova fatica, e verserò nel mio calice il succo di tutti i frutti che verranno oggi spremuti. Questo pane, il nostro sforzo, non è di per sé che un’immensa disgregazione. Questo vino, il nostro dolore, non è purtroppo che una bevanda dissolvente. Ma in fondo a questa massa informe tu hai messo un desiderio irresistibile e santificante che, dall’empio al fedele, ci fa tutti assieme esclamare: <<O Signore, rendici uno!>>.
Poiché, in mancanza dello zelo spirituale e della sublime purezza dei tuoi santi, tu mi hai dato, o Signore, una simpatia irresistibile per tutto ciò che si muove nella materia oscura; poiché, irrimediabilmente, io riconosco in me, ben più di un figlio del Cielo, un figlio della Terra, salirò stamane, con il pensiero, sulle più alte vette carico delle speranze e delle miserie di mia madre, e lassù, in forza di un sacerdozio che tu solo, ne sono convinto, mi hai conferito, su tutto ciò che, nella Carne dell’Uomo, si prepara a nascere o a perire sotto il sole che sta spuntando, io invocherò il Fuoco.
E ora, pronuncia su di esso, o Signore, la parola duplice ed efficace, quella senza la quale tutto vacilla, tutto si sfascia, sia nella nostra sapienza che nella nostra esperienza, e con la quale tutto si congiunge e si consolida. Su ogni cosa che, in questo giorno, germinerà, crescerà, fiorirà e maturerà, ripeti:<<Questo è il mio Corpo>>. E su ogni morte che si prepara a rodere, a guastare, a stroncare, ordina: <<Questo è il mio Sangue>>.
Pierre Teilhard de Chardin in Letture per ogni giorno, Elledici 1979, p 702

28 GENNAIO 2016
IL CARATTERE OBLATIVO E SACERDOTALE DELL'EUCARISTIA (1)
Vorrei indicare due sottolineature che l’Eucaristia introduce nella fedeltà della Chiesa a Gesù. La prima sottolineatura riguarda quello che si potrebbe chiamare il carattere <<oblativo>> o <<offertoriale>> della carità cristiana, da cui appare il suo collegamento con il sacerdozio comune di tutti i cristiani.
La carità cerca il bene di ogni uomo, e sa che sono un bene il cibo, il vestito, la casa, la salute, la serenità familiare, il lavoro, la giustizia sociale, la pace entro e tra le nazioni.
Vede, però, tutte queste realtà come beni donati da Dio all’uomo e affidati alla sua responsabilità e operosità. Essi quindi entrano in un cammino spirituale, con cui l’uomo cerca la volontà di Dio, chiede perdono per i propri egoismi, si impegna a condividere questi beni con tutti i figli di Dio, offre a Dio se stesso e il mondo. Si tratta dunque di una carità <<oblativa>> e <<sacerdotale>>.
L’Eucaristia richiama con vigore e produce efficacemente questa caratteristica della carità, perché ci presenta Gesù che dona il corpo e il sangue, cioè tutto se stesso, in piena solidarietà con la situazione concreta dell’uomo peccatore, ma nel medesimo tempo, con una profonda attenzione al cuore del Padre, ai suoi desideri, alla sua volontà e con un abbandono filiale all’onnipotenza misericordiosa del Padre, che sa risvegliare la vita oltre la morte.
Il cristiano, proprio attraverso la celebrazione eucaristica, impara a imitare la carità di Gesù in tutta questa ampiezza sacerdotale e riconosce che la propria capacità di offrirsi al Padre dipende radicalmente dall’offerta che Cristo ha fatto tutto di se stesso.
Carlo M. Martini in "Attirerò tutti a me", n. 70

29 GENNAIO 2016
IL CARATTERE OBLATIVO E SACERDOTALE DELL'EUCARISTIA (2)
Si inserisce qui la seconda sottolineatura, che riguarda la duplice forma del sacerdozio presente nella Chiesa, quella di tutti i fedeli e quella dei ministri ordinati. Abbiamo visto che la carità sacerdotale dei cristiani dipende dal sacerdozio di Gesù. Questa dipendenza si esprime e si attua in vari modi. Anzitutto Gesù abilita i credenti a offrirsi al Padre nella carità attraverso il dono della Parola e dello Spirito.
Inoltre il popolo che celebra l’Eucaristia viene preparato da Cristo stesso a svolgere le funzioni sacerdotali mediante il sacramento del Battesimo, completato con il sacramento della Confermazione. Se qualcuno, poi, peccando, si esclude da questo popolo, viene riammesso attraverso un altro gesto di Cristo, cioè attraverso il sacramento della Riconciliazione.
Tra i membri di questo popolo sacerdotale alcuni ricevono un particolare sacramento, cioè il sacramento dell’Ordine. Attraverso di essi Cristo intende proclamare ulteriormente la dipendenza del sacerdozio del popolo cristiano dal proprio sacerdozio. Il sacerdozio dei ministri ordinati è dunque distinto dal sacerdozio di tutti i fedeli, ma è ad esso finalizzato, nel senso che aiuta a capire e a vivere il sacerdozio dei cristiani come un dono che proviene radicalmente da Cristo.
Lo speciale rapporto con Cristo, che hanno i ministri ordinati, li abilita a presiedere la celebrazione, a perdonare i peccati nel sacramento della Riconciliazione, a garantire l’autorevolezza dell’annuncio della Parola, a consacrare l’Eucaristia.
Carlo M. Martini in Attirerò tutti a me, n. 71
“So io pure il bene che mi ha fatto la santa comunione”
s. GB. Cottolengo

30 GENNAIO 2016
L'EUCARISTIA PASSIONE DELLA VITA
Quando sarò elevato da terra, attirerò ogni cosa a me (Gv 12,32).
Dapprima fu dall’alto della croce che Nostro Signore attirò a sé tutte le anime, riscattandole. Ma è pure certo che Gesù, pronunziando queste parole, accennava al suo trono eucaristico, vicino al quale vuole attirare tutte le anime per avvincerle con le catene del suo amore. Vuole mettere in noi un amore appassionato verso di lui.
Un’idea, una virtù che non diventano amore appassionato, non produrranno nulla di grande. L’affezione di un fanciullo non è amore secondo tutta la forza della parola: esso ama per istinto e perché si sente amato, ama se stesso in coloro che gli fanno del bene. Un dipendente può dedicarsi tutto al servizio, ma non amerà davvero se non si dedica ai suoi superiori per affetto e senza alcuna mira d’interesse personale. L’amore trionfa soltanto quando è una passione della nostra vita. Altrimenti si possono produrre atti isolati d’amore più o meno frequenti, ma la nostra vita non è impegnata, non è donata.
Finchè non avremo per Gesù nel Sacramento un amore appassionato, non avremo fatto nulla. Nostro Signore certo ci ama appassionatamente, ciecamente, senza pensare a se stesso, sacrificandosi tutto per noi: dunque bisogna rendergli il cambio!
Il nostro amore per essere appassionato deve seguire le leggi delle passioni umane. Io parlo delle passioni ordinate, naturalmente buone, di cui sta a noi servirci per il bene, guardarci dall’abusarne volgendole al male. Una passione che domina un uomo lo concentra. Quel tale vuol giungere a quella posizione onorevole ed elevata: egli non lavora più ad altro fine. Ci vorranno dieci, vent’anni, egli dice: non importa, vi arriverò. Fa unità, ossia fa servire ogni cosa al suo intento, lasciando tutto quello che non lo condurrebbe alla sua meta.
s. Pier Giuliano Eymard

31 GENNAIO 2016
IL SACRIFICIO DI GESU'
Noi parliamo con tutta disinvoltura del <<sacrificio di Gesù in croce>. Ma che cosa significano, in verità, queste parole? E’ soltanto un modo di dire, un po’ come quando si parla del <<sacrificio>> dei soldati morti per la patria? Oppure si intende parlare di sacrificio in senso religioso preciso, come atto di culto a Dio? Ma allora, come è possibile che la morte di Gesù in croce possa essere considerata come un atto di culto a Dio, mentre in realtà la sua crocifissione fu un vero e proprio delitto e una mostruosa ingiustizia? Forse che a Dio ha fatto piacere la condanna e l’uccisione di Gesù?
Il sacrificio è per definizione un’azione sacra, un rito religioso, che si compie nel tempio, sull’altare, per opera dei sacerdoti… Nulla di tutto questo nella passione di Gesù. Eppure, sin dall’inizio i cristiani hanno parlato del sacrificio di Cristo pensando alla sua morte. O meglio: a tutta la sua vita terrena, conclusa sulla croce. Ed è Gesù stesso che ha suggerito per primo agli apostoli questo modo di pensare e di parlare. Lo ricordiamo esplicitamente ogni volta che celebriamo l’Eucaristia.
Nell’ultima cena, proprio mentre stava per affrontare la passione, Gesù prese un pane, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: <<Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi>>. E dopo la cena, allo stesso modo prese un calice di vino, lo diede ai suoi discepoli e disse:<< Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati>>.
Con questi gesti e con queste parole Gesù si riferiva alla sua morte imminente, spiegandone in anticipo il significato ai suoi discepoli, quasi per prevenire il loro scandalo e il loro disorientamento (umanamente più che giustificati).
Domenico Mosso in il sacrificio gradito a Dio, Elledici 1981, p