

7 GENNAIO 2016
LA COMUNIONE DEGLI ALPINI TRA LA NEVE
Per quindici giorni, 40 mila soldati alpini camminarono sulla steppa ghiacciata dell’Unione Sovietica, aprendosi col ferro e col fuoco la strada verso l’Italia. Caddero a migliaia, per il gelo, il vento, le fucilate. Il 31 gennaio 1943 andarono all’assalto per l’ultima volta a Nikolaiewka, con le bombe a mano, i bastoni, i pugni. I Sovietici si ritirarono. C’erano diversi cappellani con gli alpini, fra cui don Gnocchi e don Chiavazza. Quest’ultimo ha scritto:
<<Quella notte la passai insieme a don Gnocchi in un’isba calda e affollata. Al mattino mi svegliò con un leggero tocco alla spalla: ”la notte sta per finire. Vuoi fare la comunione?”. Mi svegliai di colpo. Gli Alpini, intorno, erano allungati, distesi, abbandonati in un sonno profondo. “Ma tu –dissi- hai con te l’Eucaristia?”. “ L’ho sempre portata con me. Me ne rimane solo un piccolo frammento, ma per due basta”.
Portava Cristo nel petto, in una minuscola teca, come l’oggetto più prezioso del mondo. “ Allora - dissi – nostro Signore è sempre stato con noi, ha camminato con gli alpini”. “ Il calvario degli alpini è stato il suo calvario. Accoglieva i caduti, confortava i combattenti. Era la mia forza”, disse il dolce cappellano dalla vita meravigliosa e dal sorriso buono.
Ci raccogliemmo pochi istanti. Il frammento di pane consacrato deposto sulle nostre lingue era il Cristo, il Redentore che ci portava la realtà più sconvolgente: Io vi ho amati e resterò con voi, sempre”>> ( CHIAVAZZA, Scritto sulla neve).
Da Teresio Bosco, Alla scoperta del cristianesimo. 2: I cristiani
Elledici 1998. p. 94
"Trovati delle pause eucaristiche durante la giornata"
P. Andrea Gasparino

8 GENNAIO 2016
CON LE SPALLE AL MURO
Bisogna che i gesti siano autentici a livello interiore. Una liturgia, se davvero vissuta, ci mette con le spalle al muro perché, se quei gesti non li viviamo, secondo una fortissima espressione di s. Tommaso che non era solito esagerare, noi introduciamo una bugia nel sacramento. Le bugie più tragiche non sono quelle che si dicono con la bocca sono quelle che si dicono con la vita. E forse ne diciamo tante anche nel contatto con il Signore.
Quante bugie nel sacramento! E’ essenziale cogliere questo carattere impegnativo della liturgia, se si vuole autenticare il segno: dargli cioè un contenuto spirituale.
E’ vero che per le cose essenziali ci pensa il Signore. E’ vero che non è l’attenzione e la devozione del ministro che realizza la presenza eucaristica sotto i segni del pane e del vino. Però è altrettanto vero che quella presenza del Signore, sotto le specie del pane e del vino, non mi reca né luce, né salvezza, né grazia, se io non accolgo il Signore nello spazio interiore della mia fede. Allora, direbbe s. Agostino: <<Mastico sì con i denti il sacramento del corpo e del sangue del Signore, ma non lo ricevo dentro di me>>.
Si vanifica perfino l’Eucaristia, perché, il Signore si rende presente attraverso le varie Messe sparse in tutto il mondo e attraverso il tempo, ri-attualizza qui-ora quella suprema oblazione al Padre, proprio per permettere a ciascuno di noi di associarsi. Ma se non mi offro con Lui al Padre, se non sono pronto a bere il calice come lo ha bevuto Lui, e lo bevo solo materialmente, perché lo prendo nelle mani, ma non sono pronto a fare la sua volontà fino all’immolazione come ha fatto Cristo, allora la Messa è celebrata ma non è vissuta.
MARIANO MAGRASSI IN "Afferrati da Cristo "La Scala 1978, pp. 260-261

9 GENNAIO 2016
UNA LITURGIA CHE DURA UNA GIORNATA
La comunione non è mai perfetta. Grazie a Dio può sempre crescere l’intensità della cordialità e del volerci bene. L’amore non ha una misura. Ma attenzione: strettamente legata all’Eucaristia e alla comunione che si fa con il Signore, c’è la chiamata a fare poi comunione con il Signore. Non si possono staccare queste due espressioni. Il fatto di avere un po’ ritualizzato l’Eucaristia ci gioca un brutto scherzo e ci dà l’impressione che il sacramento eucaristico finisca quando ci viene detto: <<Andate in pace!>>; allora entriamo nelle mansioni della giornata, come se la prima mansione della giornata non fosse proprio quella di continuare e completare quel sacramento.
Poveri noi, se tutto il sacramento eucaristico durasse quella mezz’oretta! Che cosa faremmo il resto del tempo? Là ci siamo nutriti di un solo corpo e di un solo sangue e tutto il resto delle ore è appunto per essere un solo corpo. La comunione che produce la comunità è una liturgia che continua tutto il giorno. Non dico che sia la virtù della carità, che già è una gran bella cosa; è la liturgia che continua. E non ha più i pochi gesti rituali, le parole precise, ma ne ha molti di più, ha tutta una sua maniera di esprimersi. E’ un solo sacramento permanente, nel quale ci si immerge giorno per giorno e che ci chiede di essere celebrato dal mattino alla sera.
Questo significa fare davvero comunione con Gesù e rendere Gesù nostra comunione. E' bello ed è grande, è semplice ed è radicalmente vero.
Giuseppe Pollano in Contemplativi per il regno, S.Paolo 1999, pp. 205-206
“Se condividiamo il pane celeste,
come non condividere il pane terreno?"
Didachè

10 GENNAIO 2016
<<HO TOCCATO IL CORPO DI CRISTO>>
Una ragazza venne in India per unirsi alle << Missionarie della Carità>>. Da noi c’è la regola che le nuove arrivate vadano alla Casa dei morenti.
Allora io dissi a quella ragazza:<< Hai visto, durante la Messa, con quanto amore e rispetto il sacerdote toccava Gesù nell’ostia. Fa’ così anche tu, quando sarai alla Casa dei morenti, perché nei corpi distrutti dei nostri poveri c’ è proprio quello stesso Gesù>>.
Andarono. Dopo tre giorni la nuova venuta ritornò e mi disse con un grande sorriso (non ho mai veduto un sorriso simile) :<< Madre, ho toccato il Corpo di Cristo per tre ore di seguito>>.
Le chiesi: <<Com’è?>>, e lei mi rispose:<< Quando siamo arrivate là, avevano appena portato un uomo che era caduto in una fogna e c’era rimasto per un bel po’ di tempo. Era coperto di ferite, di sporcizia e di vermi, e io l’ho pulito. E sapevo che stavo toccando il corpo di Cristo>>.
E’ stata una cosa bellissima!
b. Teresa di Calcutta

11 GENNAIO 2016
LA PREGHIERA EUCARISTICA: SCUOLA DI PREGHIERA CRISTIANA
Chissà se ogni volta che << dobbiamo dir Messa>> noi preti ci rendiamo conto che celebrare l’Eucaristia significa in ogni caso pregare e far pregare? Chissà se ogni volta che diciamo Messa ci ricordiamo che pregare non significa soltanto <<recitar preghiere>>, ma immedesimarci nelle parole che leggiamo sul messale, come se le inventassimo noi in quel momento per dire la nostra fede, la nostra lode, la nostra supplica a Dio? La vera preghiera non sta sulle pagine del messale e neanche sulle nostre labbra. La preghiera proviene esclusivamente dalla mente e dal cuore, anche quando passa attraverso formule prefabbricate e si esprime in parole.
Magari ci preoccupiamo di tanti altri modi e forme di preghiera o pratiche di pietà (vecchie o nuove che siano), ma non sappiamo valorizzare abbastanza- per noi stessi e le nostre comunità- quella autentica scuola di preghiera cristiana ed ecclesiale che è la celebrazione eucaristica nel suo insieme, e in particolare le diverse preghiere eucaristiche.
Dove possiamo riscoprire il senso della preghiera cristiana come atto di fede viva che si fa lode e ringraziamento a Dio per la sua grandezza e la sua bonta; dove ritroviamo il significato fondamentale del <<pregare>> come un consapevole e personale inserimento della nostra vita nel grande progetto di Dio, in quella << storia della salvezza>> di cui Cristo è il centro; dove impariamo a chiedere a Dio il dono dello Spirito prima di ogni altra cosa, affinchè il suo regno <<venga>>, a cominciare dalla nostra santificazione personale; dove la prospettiva egoistica- che rischia così spesso di inquinare la nostra preghiera- viene purificata dal continuo richiamo alla comunione con tutta la Chiesa e al fare di noi stessi, nella carità vissuta, un sacrificio perenne gradito a Dio.
Domenico Mosso in La Messa e il messale, Elledici 1985, pp. 97-98

12 GENNAIO 2016
PRESENZA E REALTA'
Nell’Eucaristia non si realizza più una presenza di << contiguità>> in cui ci si può toccare o almeno ci si può vedere. Non è questo la Presenza. La Presenza vera è che Dio riempia tutto l’intimo tuo, e sia per Lui la sua gioia, la sua vita; così come Egli lo è per quello che l’uomo vive nell’ Eucaristia: << Rimanete in me ed io in voi>>. La vita delle Persone divine nel mistero della Trinità: questo è il mistero della vita cristiana nell’immanenza reciproca del Cristo. La vita eucaristica è questo reciproco essere l’uno nell’altro. Che cosa grande, che cosa immensa è l’Eucaristia!
Allora la teologia dell’Eucaristia è abbastanza semplice, anche se non è facile a capirsi ed esige approfondimenti continui. Perché tutta la teologia dell’Eucaristia consiste nello spiegare questi due termini: presenza e realtà, realtà e presenza. E noi dobbiamo capire che questi termini nei riguardi dell’Eucaristia esprimono l’escatologia, l’<<escaton>>, cioè il compimento ultimo del disegno divino.
Vivendo dell’Eucaristia siamo già in Paradiso! Non c’è un Paradiso da aspettare. Noi possiamo attendere ancora la manifestazione di questa realtà, ma viviamo già questa realtà. Noi possiamo aspettare ancora l’esperienza di questa Presenza intima di Cristo in noi e di noi in Cristo, ma noi viviamo già questa Presenza.
Il Paradiso è già nostro: se non ci siamo peggio per noi. Vuol dire che non ci andremo nemmeno domani, perché il Paradiso è la Presenza divina e Dio si è fatto presente per me in Cristo Signore. In Cristo, Dio mi si è comunicato, Dio mi si è donato. Io vivo di Dio ed Egli vive in me!
Divo Barsotti in Spiritualità carmelitana e sacramenti,
Città Nuova 1984, pp. 116.117